CUB InformA – a cura della CUB di Pisa

CRONACHE DAL SOTTOBOSCO DELLO SFRUTTAMENTO – La settimana corta: “una merce di scambio”

 

La riduzione della settimana lavorativa viene sovente rinviata al secondo livello di contrattazione, ove le deroghe peggiorative rispetto al contratto nazionale sono all’ordine del giorno.

Nel caso in cui la riduzione dei giorni lavorativi avvenga a parità di salario, urge riflettere su quale sia la merce di scambio. Molte aziende parlano di aumento del fatturato riducendo la settimana lavorativa, pagano meno per le utenze e le pulizie, risparmiano sulla mensa o sui buoni ristoranti, accrescono le mansioni esigibili e le prestazioni ottenute attraverso gli innumerevoli strumenti della flessibilità

In molti casi sono riusciti ad avere deroghe rispetto ai contratti nazionali, abbattendo tutele individuali e collettive, eliminando permessi retribuiti, hanno ottenuto mansioni maggiori di quelle previste dai contratti nazionali, orari di lavoro ultra flessibili e una sorta di reperibilità non retribuita che va ben oltre l’orario canonico e contrattuale di lavoro.

Talvolta la riduzione della settimana lavorativa ha come merce di scambio la cancellazione anche di misure di welfare aziendale, come i contributi per gli asili nido o per la mobilità sostenibile.

Nel caso della Pa ricordiamo che: quanti operano in smart non percepiscono straordinari e buoni pasto, e nei mesi pandemici alcune amministrazioni avevano perfino cancellato istituti contrattuali come la indennità di condizione lavoro.

La settimana corta non avviene per esigenze della forza lavoro ma per volontà dei datori, è bene ricordarlo prima di ogni ulteriore considerazione e le merci di scambio sono innumerevoli ma tali da favorire l’accrescimento dei profitti, degli utili, delle prestazioni lavorative nel loro complesso e del plusvalore.

E con il rinvio alla contrattazione di secondo livello sarà possibile derogare perfino ai contratti nazionali, dove sta allora il vantaggio per la forza lavoro?